I “Comunisti senza Rolex”: la schizofrenia del desiderio

16.12.2025


C'è una tribù che infesta i nostri salotti e i social network, "una categoria dello spirito" che si nutre di contraddizione e rancore: i "comunisti senza Rolex". Non sono rivoluzionari, non sono idealisti, e nemmeno autentici difensori della giustizia sociale. Sono moralisti di professione, predicatori di un'etica che non nasce da convinzione, ma da frustrazione. Questi individui hanno trasformato l'invidia in dottrina politica, l'auto-referenzialità in pulpito, e il giudizio in mestiere. Odiano la ricchezza non perché amino la povertà, ma perché quella ricchezza non è la loro. Il lusso altrui diventa specchio ustionante della loro mediocrità, e allora lo condannano, lo demonizzano, lo riducono a simbolo di corruzione. Partiamo da una considerazione e lettera aperta.


La dignità ha un prezzo: risposta a Franco Arminio

Caro Franco, capisco lo smarrimento. Vedere un pantalone costare mille euro, mentre si parla di valori umani e spirituali come fa Tornatore nel suo documentario, può sembrare a prima vista un cortocircuito, una contraddizione stridente. Ma se grattiamo via la superficie del "caro prezzo", scopriamo che quella cifra non è un capriccio del mercato, bensì il pilastro fondamentale su cui si regge proprio quell'umanesimo che tanto difendiamo.

Il punto cruciale che forse sfugge a una lettura puramente poetica della realtà economica è questo: l'etica costa. Se vogliamo un'azienda virtuosa, che non sia un ingranaggio tritacarne ma una comunità; se vogliamo che l'operaia di Solomeo non sia un numero, ma un'artigiana che lavora in ambienti luminosi, con orari umani e, soprattutto, con uno stipendio che le permetta di vivere con dignità e non di sopravvivere a stento... allora quel pantalone non può costare poco.

C'è una matematica della dignità che è implacabile:

Per pagare il "giusto" chi lavora, il prodotto deve avere un alto valore di scambio. Per preservare l'artigianalità contro l'omologazione industriale, servono tempo e cura, e il tempo è la risorsa più costosa.

Qui non stiamo parlando di fast fashion dove il profitto nasce dallo sfruttamento invisibile. Qui siamo di fronte a un modello in cui il pubblico alto spendente gioca un ruolo che oserei definire di "nuovo mecenatismo". Chi ha la fortuna di potersi permettere quel pantalone, di fatto, sta finanziando un sistema. Sta permettendo a quei soldi di girare e di scendere a cascata su tutta la filiera, garantendo il benessere di chi quel capo l'ha cucito.

È facile inorridire davanti a quattro cifre su un cartellino, ma è molto più difficile costruire un modello di business dove il profitto non cannibalizza l'uomo. Cucinelli ha scelto di vendere a chi può pagare tanto, proprio per poter trattare "da esseri umani" tutti coloro che lavorano per lui.

Quindi, paradossalmente, quel prezzo alto è la garanzia che il messaggio del film di Tornatore non è finzione: è la prova che per mantenere un "Capitalismo Umanistico" reale, e non di facciata, serve qualcuno disposto a pagare il prezzo pieno della qualità e della giustizia retributiva. Se quel pantalone costasse cento euro, il sogno di Solomeo sarebbe già fallito, e con esso la dignità di chi ci lavora.

Ben venga, dunque, chi ha la capacità economica di foraggiare questo sistema: è l'unico modo per tenere in vita un'idea di lavoro che nobilita l'uomo, invece di consumarlo.

p.s. Tuttavia, Franco, permettimi di allargare l'inquadratura, perché sento un'ipocrisia di fondo nel nostro dibattito pubblico che va smascherata.

Trovo singolare, per non dire sconvolgente, che ci indigniamo per un capo di sartoria che costa quanto uno stipendio, eppure restiamo in un silenzio assordante davanti ai fatturati miliardari dell'industria degli armamenti. Nessuno fa video indignati su chi foraggia e vende strumenti di morte. Lì, il profitto sporco di sangue viene accettato come "geopolitica" o "necessità di mercato". Qui, invece, facciamo le pulci a chi vende bellezza per finanziare la vita. Siamo affetti da uno strabismo morale imperdonabile: il lusso che veste ci scandalizza, l'industria che uccide ci lascia indifferenti.

E se proprio vogliamo parlare di "insostenibilità" e di scandali, non guardiamo alle vetrine di Cucinelli, ma guardiamo dentro i palazzi delle nostre istituzioni. Il vero scandalo non è un'azienda privata che prospera, è la malapolitica che ha lasciato sprofondare nel degrado i pilastri della nostra convivenza civile: la Scuola, la Sanità, la Cultura.

Dov'è l'indignazione quando i nostri insegnanti vengono pagati una miseria per formare il futuro del Paese in edifici fatiscenti? Quella è insostenibilità. Dov'è la rivolta quando la Sanità pubblica, un tempo vanto di civiltà, costringe i cittadini a indebitarsi per curarsi perché le liste d'attesa sono una condanna? Quella è immoralità. E la Cultura? Trattata dalla politica come un orpello inutile, la prima a subire tagli, umiliando ricercatori e artisti.

Mentre lo Stato abdicava al suo ruolo di "padre" e custode del benessere comune, un imprenditore ha dimostrato che si può fare cultura, si può restaurare borghi e si può dare dignità al lavoro, semplicemente gestendo le risorse con umanità.

Quindi, no, non c'è nulla di male in quel prezzo. Quel pantalone è il simbolo di un sistema che funziona in un mondo di sistemi rotti. Magari avessimo una politica capace di applicare alla Res Publica la stessa cura, la stessa visione e lo stesso "umanesimo" che applichiamo alla moda. Il problema non è chi spende mille euro per vestirsi, ma chi governa sprecando miliardi e lasciando il popolo nudo di diritti.

La schizofrenia del desiderio

Di giorno si ergono a giudici inflessibili, condannando il consumismo e il capitale. Di notte, nel segreto della coscienza, bramano esattamente ciò che pubblicamente disprezzano: il Rolex, l'auto di lusso, il pantalone da mille euro. Non potendoli raggiungere, trasformano la loro impossibilità in virtù morale. Si convincono di essere sobri per scelta etica, quando spesso lo sono solo per circostanza.

È una schizofrenia del desiderio: ciò che non possono avere diventa automaticamente "il male". Se non possono permettersi la bellezza, la bellezza è spreco. Se non hanno il coraggio di intraprendere, l'impresa è sfruttamento. È un meccanismo perverso e trasparente, che rivela la fragilità di chi non sa misurarsi con il proprio vuoto.

Nemici del progresso

Questi "sognatori di Rolex mancati" non vogliono elevare chi sta in basso, non vogliono creare lavoro, opportunità, bellezza. Vogliono trascinare tutti verso il basso, in un egualitarismo grigio e livellato al ribasso, dove se io non posso brillare, allora nessuno deve farlo.

Il vero contraltare: la mosca bianca dell'impresa

Non tutti coloro che indossano un Rolex o guidano un'auto di lusso lo fanno perché hanno evaso, speculato o compiuto chissà quale trasgressione, misfatto e/o corruzione. Esiste una minoranza rara, una mosca bianca, che rappresenta l'esempio virtuoso dell'impresa: imprenditori che hanno costruito la loro fortuna con trasparenza, visione e rispetto per la dignità umana, e a quelli ci riferiamo ovviamente.

Sono figure come Brunello Cucinelli, che hanno dimostrato che il capitale può essere illuminato, che il profitto può convivere con l'etica, e che la bellezza può essere restituita alla comunità come valore condiviso. Non è ostentazione, ma responsabilità. Non è privilegio, ma testimonianza che il lavoro, quando è guidato da talento e giustizia, può generare progresso autentico.

La differenza che conta

La vera linea di demarcazione non è tra ricchi e poveri, ma tra chi costruisce e chi distrugge. Tra chi trasforma il talento in opportunità e chi trasforma la frustrazione in livore. Tra chi crea bellezza e chi condanna la bellezza perché non può permettersela.

Il lusso, quando nasce da impresa virtuosa, non è scandalo: è simbolo di ciò che si può raggiungere con coraggio, disciplina e visione. È la prova che il progresso non è un peccato, ma un dovere.

Il vero progresso nasce dall'intraprendenza, dalla capacità di trasformare il talento in valore, dall'illuminazione di chi crea bellezza e dignità come fa Cucinelli. Ma i moralisti dell'invidia non costruiscono: distruggono. Non generano: consumano. Non liberano: imprigionano.


L'intellettuale a doppio registro

E non c'è di peggio quando dietro a questo atteggiamento si nasconde l'intellettuale. Colui che dovrebbe usare la ragione come lente di chiarezza, ma la piega a un peso e due misure: severo con gli altri, indulgente con sé stesso.

Questi pensatori da salotto non cercano verità, ma visibilità. Non usano l'intelletto per comprendere il mondo, ma per far parlare di sé, per alimentare il proprio mito di moralisti inflessibili. La loro critica non nasce da rigore, ma da vanità.

Così, l'intellettuale che si traveste da giudice diventa complice della stessa mediocrità che denuncia. Non emancipa, non eleva, non illumina: si limita a brandire la parola come arma di livore, trasformando la cultura in pulpito e l'analisi in spettacolo.


Il rumore del desiderio frustrato

La loro rabbia verso il lusso non è critica economica, non è analisi sociale, non è lotta di classe. È solo il rumore sordo del desiderio frustrato. Una rabbia sterile, che non produce né giustizia né emancipazione, ma solo livore.

Ed è proprio questo livore che li rende i più grandi nemici della libertà e del progresso: perché non combattono per un mondo migliore, ma per un mondo più piccolo, più grigio, più mediocre.




C'è una tribù che infesta i nostri salotti e i social network, "una categoria dello spirito" che si nutre di contraddizione e rancore: i "comunisti senza Rolex". Non sono rivoluzionari, non sono idealisti, e nemmeno autentici difensori della giustizia sociale. Sono moralisti di professione, predicatori di un'etica che non nasce da convinzione, ma...

Every human being is born immersed in a sea of ​​perceptions. Consciousness is the first shore we touch: a fragile landing place that allows us to say "I" to the world. But consciousness is not a fixed point: it is a movement, a flow that renews itself every moment. It is the ability to recognize that we are alive and that...